C’è chi dice che nel Monferrato si mangi meglio che nel resto del Piemonte.
Forse perché storicamente è sempre stata crocevia di rotte commerciali che collegavano Piemonte, Liguria e pianura Padana. A ciò si aggiungano le cause legate sia alle caratteristiche morfologiche di un territorio che non è solo collina ma anche pianura a vocazione orticola, sia a una stratificazione sociale fatta di mille mestieri umili e di corporazione rispecchiati ancora oggi nei piatti preparati alla maniera “dei carrettieri”, “dei mercanti di bestiame”, dei “bovari”. Una cucina che – basata sulle trippe e gli zampini di maiale, i ceci con la testina, la coda di bue, le carni lesse – inventerà i famosi carpioni. Usanza delicatissima e geniale per conservare nel tempo – fritte e “carpionate” in aceto e salvia – la carne, le uova e le zucchine ma anche i pesci d’acqua dolce.
Ad altre tradizioni culinarie apparteneva quel salame “cotto” fatto di ritagli di maiale e lardo tipico delle osterie dei mercati, mentre cibo “da muratori” era la polenta condita col bruss, crema ottenuta dalla rifermentazione degli avanzi di formaggio. Sulle tavole più povere, se il piatto unico – la polenta – restava invariato, la creatività si applicava a salse e intingoli: bagne di cipolla, aglio ed erbe profumate, a base di prezzemolo come il bagnèt verd, o di brodo, pane, aceto, scalogno e cipollotto come la bagna del pòvr’òm o la cugnà, salsa d’uva ottenuta cuocendo il mosto per almeno dieci ore con pere, fichi, noci e nocciole.