Quando i Romani nel 616 a.c. arrivarono in queste terre boscose e selvagge e si scontrarono con le popolazioni liguri e celto-liguri che la abitavano, capirono ben presto che la fama di gente fiera e indomita per cui gli Etruschi e gli stessi Galli li temevano, non era affatto usurpata. Le legioni di Roma impiegarono più di cento anni per assoggettarli e ci riuscirono solo al prezzo di grandi distruzioni e spargimenti di sangue. I Galli affermavano che persino il più forte tra loro poteva essere battuto dal più gracile dei Liguri. E certo gli storici ci tramandano il ritratto di un popolo libero, dalla prodigiosa forza fisica e resistenza alle fatiche di una vita dura. Sembra il profilo dei contadini di queste zone, gente ribelle ma che anche paziente e facile ad arrangiarsi nei momenti grami. Abitanti di una terra che ha sempre offerto molto ma a cui le sventure della storia hanno anche messo alla prova forza d’animo e capacità di sopportazione e adattamento.
Il vecchio, intraducibile adagio dialettale Nissa vulpissa… indica il lato furbesco del carattere dei nicesi, da intendersi però anche come reazione positiva a un passato difficile. Con il gusto sottile della battuta scherzosa da queste parti si è sempre trovata la forza per tirare avanti nonostante tutto. E se coltivare la terra, che qui vuol dire vigna, è sempre stato il destino naturale di chi nasceva a Nizza, l’economia del vino ha fatto nascere mestieri e tradizioni diverse anche se collegate. Dalla fabbricazione di utensili in ferro e legno per i lavori tra filari e in cantina – ben rappresentati nell’incredibile raccolta del Museo Bersano delle Contadinerie – fino alla scuola di alta ebanisteria testimoniata dai portali barocchi e ottocenteschi di chiese e palazzi cittadini, opera di grandi maestri come Crovia, Gervino, Michele Pizzorno.